Ghiacci marini: perdita senza precedenti
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Ghiacci marini: perdita senza precedenti Consorzio
 
Andamento annuale dell'estensione globale dei ghiacci marini-in rosso il 2016
(periodo 1978-2016)
 
Negli ultimi due mesi la banchisa globale ha raggiunto la minima estensione mai osservata dal 1978, vale a dire da quando si effettuano osservazioni satellitari dettagliate. 
Fin qui non sarebbe neppure una notizia particolarmente interessante, considerato che dal 2007 ad oggi gli archivi si arricchiscono in continuazione di record negativi, riguardanti in particolare il pack Artico.
 
In questo caso, però, non stiamo parlando di una “semplice” correzione verso il basso di un precedente minimo, bensì di una perdita senza precedenti di ghiaccio marino: al 21 novembre, infatti, mancano all’appello 4,5 milioni di chilometri quadrati di banchisa, una superficie pari a circa la metà degli Stati Uniti. 
Inoltre, mentre gli scorsi anni le forti perdite di ghiaccio artiche erano in parte "compensate" da considerevoli surplus antartici, nel 2016 si osserva un deficit da record anche al Polo Sud, dove il precedente picco negativo registrato nel lontano 1986 era di portata decisamente inferiore rispetto a quello attuale. Nel dettaglio, al 21 novembre:
  • al Polo Nord l’estensione del pack è 2.3 milioni di kmq al di sotto della media 1981-2010 e 1.1 milioni di kmq inferiore rispetto al precedente minimo del 2012;
  • al Polo Sud 2.1 milioni al di sotto della norma e 1.2 milioni di kmq inferiore rispetto al record negativo del 1986.
 
  Estensione pack Artico al 21 novembre 2016
(rispetto alla media 1981-2010)
 
  Estensione pack Antartico al 21 novembre 2016
(rispetto alla media 1981-2010)
 

Possibili cause e dinamiche in gioco

Le cause dietro ad un tracollo così imponente sono ancora da appurare con precisione. Per quanto riguarda l’Artico si ipotizza un effetto a “feedback positivo” iniziato la scorsa estate, di seguito schematizzato:
  1. L’assenza totale di ghiaccio nel trimestre luglio-settembre su porzioni di mare normalmente ricoperte ha favorito un anomalo assorbimento di radiazione solare e quindi di calore (temperatura media superficiale delle acque circa +4-5 °C superiore alla norma);
  2. Il calore in eccesso è stato rilasciato nel mese di ottobre durante la fase di ricongelamento, contribuendo così a scaldare l’aria sovrastante (anomalie positive fino a 10 °C) 
  3. Si ipotizza che la riduzione del gradiente termico tra Polo Nord e Equatore abbia indebolito il vortice di bassa pressione normalmente presente, favorendo così la risalita, dalle medie latitudini, di masse d’aria mite e molto umida; tale calore di tipo "avvettivo" si è dunque andato ad aggiungere al calore in eccesso preesistente (legato al processo di ricongelamento).
  4. Questo processo a retroazione positiva ha finito col causare anomalie termiche mai registrate prima che, nella giornata del 17 novembre scorso, hanno raggiunto i +20 °C;
  5. L’eccesso di calore ha rallentato il processo di congelamento, favorendo anche variazioni importanti nella normale distribuzione barica polare; la riduzione dei gradienti locali, infatti, ha causato una riduzione dell'intensità venti polari, elemento fondamentale nella fase di ricongelamento invernale.
Per quanto riguarda il Polo Sud, invece, si ipotizzano variazioni nelle correnti oceaniche che scorrono intorno al continente; tuttavia, essendo la prima volta che si osserva un valore così basso della banchisa antartica all’interno di un trend comunque in leggera crescita, è difficile ad oggi formulare ipotesi credibili.
 
Tornando invece al “nostro” Polo quello che lascia perplessi non è tanto la dinamica che ha portato ad una simile perdita di ghiaccio, bensì come si siano potute sviluppare anomalie termiche così clamorose, tanto clamorose da impedire, ancora oggi (23 novembre) un significativo congelamento delle aree ancora prive di ghiaccio.
Nelle prossime settimane, a causa dell'avanzamento della stagione, la banchisa tornerà ad estendersi recuperando in parte il clamoroso deficit, tuttavia si tratterà di ghiaccio estremamente sottile e fragile e quindi a serio rischio fusione durante la prossima stagione estiva. 
 

Ma quali effetti può recare una situazione tanto anomala nei prossimi mesi?

Tra le varie ipotesi (e in quanto tali da prendere con le dovute cautele), la più ricorrente è quella di un inverno caratterizzato da un vortice polare cronicamente debole e quindi soggetto a frequenti ondulazioni meridiane. Ciò, tradotto in parole semplici, potrebbe significare un numero maggiore di ingressi d’aria fredda alle medie latitudini (Europa inclusa). C’è da chiedersi, tuttavia, quanto sia “sano” poter ambire ad un inverno normale grazie ad anomalie senza precedenti nell’estensione della banchisa artica.